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PsicoStorytelling: quando la psicologia incontra lo storytelling

Che cos’è lo storytelling e perché è importante per la tua crescita personale.

Lo storytelling è l’atto di narrare, costruire storie capaci di comunicare eventi e spiegarne le cause. Può essere utilizzato per raccontare il valore di un’azienda, trasmettere un’ideologia, una linea politica, o anche a livello autobiografico e pedagogico: i bambini infatti sono naturalmente attratti dalle storie.

In sé lo storytelling è quindi “solo” uno strumento, ma a ben vedere, e come tutti gli strumenti, può essere utilizzato per scopi nobili, come l’educazione e la crescita personale, o meno nobili, come la manipolazione delle notizie (e in questa epoca di fake news ne sappiamo qualcosa).

Come siamo influenzati dalle storie

L’essere umano è vulnerabile alle narrazioni. Prendete un dato statistico puro e ripetetelo a pappagallo per dieci volte a un vostro amico. Per esempio: in un anno il numero di morti causati dalle noci di cocco è più alto di quelle causate dagli squali. Poi fategli vedere il film “Lo squalo” di Steven Spielberg. Nella maggior parte dei casi il vostro amico se la farà sotto alla vista di qualcosa di simile a una pinna tra i flutti del mare, ma passerà senza problemi giornate intere su un’amaca tra i palmizi da cocco.

Un altro esempio ce lo fornisce il filosofo e matematico libanese Nassim Nicholas Taleb nel suo libro “Il Cigno nero” (link al libro). Al principio degli anni ottanta, in Italia, un bambino cadde in un pozzo. Il fatto è passato alle cronache come l’incidente di Vermicino. I soccorritori, nonostante i numerosi tentativi, non riuscirono a tirarlo fuori e il bambino rimase a piangere sul fondo del pozzo. Il caso ebbe in Italia una grande eco mediatica, la gente seguiva gli aggiornamenti davanti alla televisione e tutto il paese era in ansia. Ciò che Taleb fa notare è che in Libano nel frattempo infuriava la guerra civile e, sebbene a pochi chilometri di distanza la gente morisse e venisse minacciata dalle autobombe, i libanesi erano inquieti per la sorte del piccolo italiano.  Il suo pianto era fra gli interessi principali nel quartiere cristiano di Beirut.

Questi sono solo due dei tanti esempi che ci possono dare un’idea del potere delle storie sulla nostra percezione delle cose.

Tutti abbiamo storie ma tutti ce ne dimentichiamo

Andrea Fontana

Sociologo della comunicazione storyteller activist

Consapevolezza e potere delle storie

Guardiamo le storie degli altri. Sui social network ci lasciamo coinvolgere dal flusso narrante. Ma spesso dimentichiamo che ognuno di noi ha una storia, che ognuno è una storia.

La capacità di percepirsi come una storia è importante per tre motivi principali:

  1. Dare una spiegazione degli eventi coerente con il nostro passato/presente/futuro
  2. Ci aiuta a ordinare le idee rispetto a noi stessi, fare mente locale su quelli che possono essere i nostri veri obiettivi (o problemi)
  3. Percepire la propria storia significa anche visualizzare un cambiamento desiderato e la capacità narrarsi dentro questo cambiamento

Come detto poco sopra, le storie possono essere amiche o nemiche, e questo vale anche per la narrazione che facciamo di noi stessi.

Spesso infatti succede che il modo in cui ci raccontiamo diventa il vero ostacolo da superare.

Prendete la frase: “Non ce la posso fare.” Chi la pronuncia sta narrando la propria condizione dal punto di vista della preclusione, e questo può diventare effettivamente un ostacolo allo sviluppo personale. O ancora:

  • “Sono un disastro”
  • “Ma perché sono così?”
  • “Se solo avessi più volontà”
  • “Non so fare niente”
  • “Non ne sono capace”
  • “Sono una persona ansiosa”
  • ……………………………………..

Chi di noi non ha mai avuto questo tipo di pensieri per la testa almeno una volta nella vita? Ciò ovviamente si situa nello spettro della “normalità”. Ma quando diventano vere e proprie narrazioni disfunzionali che fare?.

Narrazioni disfunzionali: come cambiarle usando lo storytelling

Ogni protagonista che si rispetti porta con sé, attraverso tutta la narrazione, un arco di trasformazione del personaggio. Passando per insidie e prove, superando ostacoli e difetti, generalmente il personaggio delle storie va da un punto A iniziale fino a un punto B finale. Il personaggio del punto B è diverso da quello del punto A, è cambiato. Di solito è stato in grado di superare il proprio “fatal flaw” drammatico, ovvero un difetto interiore che, quando era nel punto A, non gli permetteva di svilupparsi. Prendete, per esempio, la Bestia in “La bella e la bestia”: solo quando riesce ad accettare se stesso, ad accettare di essere amato per quello che è, può tornare nel mondo degli umani. Ha dovuto combattere contro il suo fatal flaw per raggiungere il punto B, per cambiare.

Ma con le persone come si fa?

Molto spesso non siamo consapevoli del fatal flaw. A volte invece lo conosciamo bene ma non sappiamo da che parte prenderlo, da dove partire e, una volta iniziato, come e verso dove proseguire.

Come per ogni cambiamento chi si rispetti, il cammino non è né facile né immediato. Arrivare al famigerato punto B richiede costanza, lettura interiore, lotta contro le resistenze. E una mappa per orientarsi. Ed è qui che entra in gioco lo storytelling applicato al lavoro clinico in psicologia.

Sapersi narrare ed essere in grado di descrivere le proprie emozioni è il primo passo verso una sana consapevolezza di sé e del proprio benessere psicofisico.

 

E tu, conosci il tuo fatal flaw? Hai mai messo in atto strategie efficaci per superarlo?

Chi sono

Mattia Marchetti psicologia e storytelling

Questo blog è un luogo dove puoi trovare contenuti sulla psicologia e lo storytelling, oltre ad articoli e interviste che raccontano Ferrara